Da quando l’Europa (con la decisione quadro 2001/220/GAI, prima, e con la Direttiva 2012/29/UE, poi) ha posto la vittima al centro della sua azione normativa, qualcosa è cambiato, anche in Italia. Il sistema penale, a lungo disattento, appare oggi più sensibile alle esigenze di riconoscimento, partecipazione, compensazione e protezione delle vittime di reato. Del resto, stabilire che il reato non è solo «un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime» (Considerando n. 9 alla Direttiva 2012/29/UE) equivale a fissare un punto di non ritorno.
Il processo penale ha “bisogno” della vittima almeno quanto la vittima ha “bisogno” del processo. In questo difficile scambio, la vittima rivendica identità, chiede partecipazione, esige protezione, auspica un risarcimento del danno subito: il processo fatica tuttavia a rispondere in modo appropriato a queste istanze.
Nonostante il legislatore nazionale abbia investito energie per garantire, soprattutto ai minori e alle vittime vulnerabili, strumenti di protezione dal processo e dalla vittimizzazione secondaria (da reiterazione o intimidazione), ne risulta un compendio normativo quanto mai disomogeneo. Manca, allo stato, una visione d’insieme proprio con riguardo ad un vero Statuto delle vittime, sotto il duplice profilo della loro partecipazione al procedimento (ambito che include comprensione, informazione, assistenza difensiva, compensazione e mediazione) e della costante offerta di protezione di cui necessitano. Carenza, questa, ormai divenuta insostenibile e che obbliga ad un’attenta riflessione scientifica, preludio di concrete proposte operative.