Da diversi anni, la famiglia vive una modificazione, della quale è consapevole lo stesso legislatore,
caratterizzata da un rapporto sempre più contrattualizzato e da un sempre maggiore paidocentricentrismo.
Nel rapporto genitori-figli, d’altro canto, con il graduale riconoscimento di diritti e tutele attribuiti ai minori, si
prevede un corrispondente apparato di controlli pubblici in relazione al disagio minorile e al corretto
svolgimento dei compiti genitoriali. L'accordo, quale principio del governo della famiglia, è minato da
interventi non sempre richiesti o concordati, specialmente quando si tratti di garantire gli interessi dei minori.
Le situazioni di debolezza, anche in una comunità come quella familiare, non possono essere lasciate
all’arbitrio dei singoli; nondimeno, se un intervento esterno deve pure essere previsto, questo non può
prescindere dall’accordo in quanto espressione della libertà della famiglia, quale «società naturale», e dei suoi
membri. Con particolare riferimento al rapporto genitori-figli e alla responsabilità genitoriale, in linea di
principio, è soltanto quando manchi il consenso dei genitori che, secondo le circostanze e la gravità delle
situazioni concrete, i parenti interessati, i servizi sociali o il pubblico ministero possono (o devono) sollecitare
l’intervento del giudice. Sotto quest’ultimo aspetto il legislatore considera i controlli di cui agli artt. 330 ss. c.c.,
di fronte a comportamenti pregiudizievoli dei figli e a situazioni di violazione, trascuratezza, abuso della
posizione genitoriale. Le recenti riforme (da quella sulla filiazione a quella sulla negoziazione assistita fino a
quella sull’affidamento) impongono un riesame delle posizioni dei membri di una comunità, comunque,
tuttora in evoluzione. A tale scopo, utile è sicuramente la comparazione con esperienze vicine a quella italiana
e, in particolare, per aver introdotto discipline analoghe a quelle del nostro ordinamento interno, alla spagnola
e alla portoghese.