LA POSIZIONE DELL'IMPUTATO DICHIARANTE SU FATTO ALTRUI
TRA TUTELA DEL DIRITTO AL SILENZIO E GARANZIA DEL CONTRADDITORIO
Il tema delle modalità di acquisizione del contributo etero-accusatorio dell’imputato coimputato o imputato in procedimento connesso - è, non da oggi, oggetto di speciale attenzione da parte della dottrina processualpenalistica.
Il particolare rilievo attribuito alla materia è giustificabile solo in parte tenendo conto dell’importanza via via assunta in questi ultimi decenni da tale tipologia probatoria nel processo penale, soprattutto (ma non soltanto) in relazione alle inchieste per reati di criminalità organizzata di stampo mafioso o a matrice terroristica. In realtà, cercando di andare al di là della polemica più corriva, occorre dire che il tema di per sé incrocia diritti e interessi diversi: il diritto di chi è accusato di confrontarsi con il proprio accusatore; il diritto di ogni imputato a non essere costretto a rilasciare dichiarazioni contro di sé - espresso tradizionalmente nella formula per cui “nemo tenetur se detegere” - al quale corrisponde il riconoscimento a detto soggetto del diritto a non rispondere e di sottrarsi all’esame richiesto dalla controparte; nonché l’interesse all’accertamento dei fatti, dietro il quale si colloca, come ha riconosciuto la Corte costituzionale, l’esigenza di effettività della giurisdizione penale.
A cercare di dare una soluzione a questa incandescente materia ha provato nuovamente, dopo una serie di tentativi falliti, il legislatore nel 2001, con la l. 1° marzo 2001, n.63. A seguito dell’ampio dibattito suscitato dalla modifica dell’art.111 Cost. si era registrata in dottrina una convergenza generalizzata sull’idea che la realizzazione del contraddittorio impostata dalla costituzionalizzazione dei principi del giusto processo esigesse una compressione del diritto al silenzio dell’imputato che avesse reso nel processo dichiarazioni accusatorie nei confronti di terzi. Il legislatore, facendo propria tale impostazione, con il ricordato intervento, ha, per un verso, ridisegnato in senso riduttivo le tradizionali ipotesi di incompatibilità a testimoniare dell’imputato e, quindi, i casi nei quali tale soggetto ha la possibilità di sottrarsi all’obbligo testimoniale di rispondere secondo verità; per l’altro verso, ha introdotto nell’art.197 bis c.p.p. una inedita disciplina (ribattezzata dalla prassi come “testimonianza assistita”) di acquisizione probatoria per i casi in cui l’imputato debba ricoprire l’ufficio di testimone. In relazione allo status dell’imputato in grado di fornire informazioni su fatti riguardanti altrui responsabilità, la l.n.63/2001 ha in realtà tenuto distinta la posizione del coimputato nello stesso reato (ex art.12 comma 1 lett.a c.p.p.) per il quale, indipendentemente dal fatto che si sia proceduto congiuntamente o in via separata, l’assunzione della veste di testimone, pur assistito, rimane necessariamente subordinata all’esaurirsi della sua vicenda processuale (con sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione di pena su richiesta delle parti); e quella dell’imputato in un procedimento connesso teleologicamente (a norma dell’art.12 comma 1 lett.c c.p.p.) o collegato (ai sensi dell’art.371 comma 2 lett.b c.p.p.), che assume l’ufficio di testimone, anche prima dell’epilogo del procedimento a lui relativo, quando, essendo stato avvisato delle conseguenze delle proprie decisioni, renda dichiarazioni etero-accusatorie.
Occorre aggiungere che le prime applicazioni giurisprudenziali hanno evidenziato le lacune e i difetti della disciplina di recente conio, soprattutto per la parte in cui quest’ultima condiziona l’applicazione delle nuove regole in tema di modalità di assunzione della prova a contenuto narrativo a complicati accertamenti incidentali per individuare quali sia il corretto status del dichiarante.
A quattro anni dall’entrata in vigore della citata novella, una ricognizione sul tema appare opportuna. La ricerca si propone, anzitutto, di ricostruire il nuovo sistema probatorio relativamente alla posizione dell’imputato dichiarante su fatto altrui, così come emerge dalla disciplina processuale vigente, soffermandosi criticamente sulle diverse problematiche emerse a livello di prassi applicativa. Si valuterà, in secondo luogo, la possibilità o la necessità, sulla base dei risultati così ottenuti, di indicare possibili prospettive de iure condendo.