L'art. 2388 c.c., come novellato dalla riforma del 2003, disciplina l'impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione della s.p.a., indicando sia le cause di invalidità, che i soggetti legittimati all'impugnativa e richiamando, per quanto compatibili, gli artt. 2377 e 2378 c.c.
Questa disciplina risulta di interpretazione e applicazione problematiche sotto diversi profili.
Si pone, fra l'altro, il problema di valutare se determinati vizi, fra i quali l'incompetenza del consiglio, compromettono l'esistenza stessa della decisione consiliare. Si può ipotizzare che l'assoluta carenza di legittimazione da parte dell'organo che ha assunto la decisione comprometta l'esistenza stessa della decisione, la quale sarebbe sprovvista dei requisiti minimi necessari a che un atto più o meno formale possa qualificarsi come delibera. Non vi è dubbio però che la scelta legislativa di circoscrivere le ipotesi di nullità, di prevedere la sanabilità di alcune di tali cause per le decisioni assembleari e di prevedere la sola annullabilità delle delibere consiliari sottolinea la volontà di garantire il più possibile l'efficacia delle delibere assunte. Il ricorso al concetto di inesistenza delle delibere amplierebbe notevolmente le cause di invalidità delle decisioni - con effetti analoghi a quelli della nullità - in contrasto con l'evidente scelta legislativa di assicurare stabilità alle decisioni dell'ente, spostando su un piano meramente risarcitorio la tutela degli interessi.
Per altro verso, anche ammettendo che in tali casi possa farsi riferimento all'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale sull'inesistenza, non è detto che l'incompetenza per materia, nel rispetto del metodo collegiale, valga ad integrare gli estremi di una devianza dal sistema legale tale da negare l'esistenza stessa dell'atto.
Scopo della ricerca è dunque quello di offrire delle motivate soluzioni ai problemi interpretativi e applicativi posti dall'art. 2388 e in particolare valutare se la delibera consiliare, che invada competenze riservate dalla legge o dallo statuto ai soci, si possa considerare inesistente, direttamente lesiva dei diritti dei soci ovvero annullabile perché contraria alla legge o allo statuto.