I diritti sociali riconosciuti dalla nostra Costituzione, dopo la revisione costituzionale del Titolo V, della seconda Parte, risultano nell'ambito della competenza attuativa sia dello Stato che delle Regioni, che possono elaborare entrambi complessi interventi legislativi, secondo le rispettive attribuzioni. Ogni Regione, in specie, può intervenire con proprie leggi nell'ambito dei diritti sociali (si pensi ad esempio al diritto allo studio, ai servizi sociali e al diritto alla salute), attuando scelte politiche differenti e tenendo conto delle proprie capacità finanziarie, in particolare del budget disponibile per la spesa sociale, alla luce della incerta attuazione dell’art. 119 Cost.. Il cittadino, pertanto, può godere di una “cittadinanza sociale” diversa, a seconda della Regione in cui risiede. Resta però da considerare fino a che punto possano spingersi le leggi regionali, volte a disciplinare i diritti sociali, nel differenziare e soprattutto nel limitare le prestazioni da erogare ai cittadini sul territorio. Ne può risultare, infatti, non tanto uno squilibrio (fisiologico?) tra Regione e Regione, ma soprattutto un'inaccettabile riduzione dei "livelli essenziali delle prestazioni" concernenti i diritti sociali, che - si badi - devono essere garantiti ai cittadini su tutto il territorio nazionale. Dell'indicazione e del mantenimento di tali livelli essenziali sono responsabili il legislatore statale e, in ultima istanza, la Corte costituzionale, alla luce dei princìpi fondamentali della nostra Carta fondamentale e, in prospettiva, della "Costituzione europea".
Con la presente ricerca ci si propone, anzitutto, di analizzare il sistema dei servizi sociali dopo l’entrata in vigore del nuovo Titolo V, Seconda parte, Cost. (2001), avendo soprattutto riguardo alla sorte della legge-quadro n. 328 del 2000 e alla giurisprudenza della Corte costituzionale in materia. In un secondo momento, si intendono individuare ed evidenziare le differenze e le analogie tra le 20 Regioni nella disciplina dell’assistenza sociale.